In pensione sempre più tardi: queste le proposte al Governo

Il governo italiano si trova di fronte a una sfida significativa nella preparazione della prossima riforma delle pensioni, che dovrà essere discussa e definita entro la fine dell’anno.

Come riporta today “il contesto di stagnazione economica e crollo demografico impone la necessità di ridefinire i criteri di accesso all’assegno pensionistico per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale.

Il presidente dell’Inps Gabriele Fava ha recentemente sottolineato l’importanza di allargare la base contributiva come elemento chiave per la sostenibilità del sistema previdenziale italiano.

In un’intervista, Fava ha spiegato che per garantire un sistema pensionistico adeguato è essenziale fornire ai giovani lavoratori opportunità di lavoro stabile e ben retribuito.

Anche perché secondo Fava, entro il 2050, il 35% della popolazione italiana sarà composta da cittadini over 65.

Questo cambiamento demografico comporterà un aumento del peso di questa fascia di popolazione sui sistemi di welfare, previdenza, assicurazioni e sanità.

Fava suggerisce che questa sfida può essere affrontata considerando gli anziani non più come un costo, ma come una risorsa, promuovendo la cosiddetta “silver economy”.

Una commissione di 12 esperti del CNEL, guidati da Renato Brunetta e composta da rappresentanti di Istat, Inps, Bankitalia, sindacati e università, sta lavorando a una proposta di riforma delle pensioni da sottoporre al governo.

L’obiettivo principale di questa proposta è l’introduzione di una “flessibilità strutturale” nel sistema pensionistico.

Questa flessibilità permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione tra i 64 e i 72 anni, a condizione che abbiano accumulato almeno 25 anni di contributi, così da garantire una pensione di almeno 800 euro al mese.

La proposta del CNEL prevede una modifica dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata.

Per la pensione di vecchiaia, l’età minima rimarrebbe a 67 anni, ma i contributi richiesti aumenterebbero da 20 a 25 anni.

Per la pensione anticipata, il requisito salirebbe a 44 anni di contributi, con un’età minima di 64 anni.

Queste modifiche avrebbero un impatto significativo soprattutto sulle generazioni nate dopo il 1996, che sono completamente inserite nel sistema contributivo.

Uno degli obiettivi principali della riforma è ridurre il numero di pensioni liquidate ogni anno e diminuire la durata delle pensioni anticipate.

Questo permetterebbe di generare risparmi significativi per il bilancio pubblico.

La proposta si concentra anche sul contrasto a misure come Quota 100, che hanno permesso il pensionamento anticipato a un costo elevato per lo Stato.

Come ricordato recentemente dall’ex ministro Elsa Fornero, la Ragioneria dello Stato ha stimato che le deroghe alla legge Fornero, come Quota 100, sono costate 40 miliardi di euro in cinque anni.

Tra le proposte in discussione c’è anche Quota 41, sostenuta dalla Lega.

Questa misura permetterebbe di andare in pensione dopo 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età.

Tuttavia, per renderla sostenibile, l’assegno pensionistico potrebbe essere calcolato interamente con il metodo contributivo, riducendone l’importo.

Questa proposta ha suscitato un dibattito all’interno del governo, con alcune forze politiche che la considerano troppo costosa.

Sempre nell’ambito della prossima manovra di bilancio il governo sta valutando l’introduzione di bonus specifici per ritardare il pensionamento e nuove regole per destinare una parte del TFR alla previdenza complementare, soprattutto per i lavoratori under 35.

La Lega propone di convogliare il 25% del TFR nei fondi pensione, mentre altre opzioni prevedono percentuali minori. Questa misura è vista come un modo per garantire una pensione dignitosa ai giovani lavoratori, le cui carriere sono spesso discontinue.

Infine, il governo potrebbe anche considerare una revisione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni all’inflazione.

L’obiettivo sarebbe quello di recuperare risorse da destinare al settore previdenziale, salvaguardando comunque gli assegni più bassi, almeno fino a quattro volte il minimo”.